Era un caldo pomeriggio estivo. Marco e Giulia passeggiavano nelle campagne nocigliesi, al largo di Santu Donnu, sperando di ricevere un po’ di frescura dalle fronde degli ulivi e dei noci che popolavano quelle viuzze. L’asfalto quasi si incollava alle suole delle loro scarpe da ginnastica, ma loro due continuavano a percorrere quel sentiero alberato accompagnati dal canto incessante di mille e mille cicale.

Non avevano una meta precisa, continuavano a camminare semplicemente lasciandosi guidare dall’ombra delle foglie e da quel canto ipnotico e millenario.

I passi procedevano lenti e regolari, fin quando il loro sguardo vago non fu attratto dalle mura diroccate di un antico casale che li “guardava” dall’alto di una piccola collina, e quanto più la strada che li divideva da esso si accorciava, tanto più la loro curiosità cresceva.

Bastò uno sguardo d’intesa tra Marco e Giulia per capire che adesso avevano una meta. Dopo aver percorso un’ultima salita, finalmente arrivarono di fronte al maestoso edificio ma dall’aspetto fatiscente ebbero conferma che il casale era abbandonato.

Quest’ultimo aspetto era ciò che intimoriva maggiormente Giulia, ma la curiosità di Marco la spronò ad entrare. Senza esitare ancora, lui la prese per mano, decisi ormai ad esplorare l’antico caseggiato.

Avevano già oltrepassato l’ingresso, quando un rumore sordo di passi proveniente dal piano superiore, li fece sobbalzare e indietreggiare. Ma non ebbero nemmeno il tempo di capire chi o cosa producesse quel rumore che la figura di un uomo possente occupò la loro visuale.

Marco e Giulia rimasero impietriti, paralizzati, ancora mano nella mano. Quel breve silenzio venne subito interrotto dall’uomo che con voce sicura e profonda chiese ai due ragazzi chi fossero. A quel punto con voce leggera e tremolante risposero che erano lì quasi per caso scusandosi di essere entrati forse in una proprietà privata.

L’uomo, che si rivelò essere un cacciatore della zona dal fucile portato in spalla, si affrettò a tranquillizzarli capendo che erano solo due ragazzi un po’ troppo curiosi.

Superata la paura iniziale, Marco e Giulia rivelarono al cacciatore che la maestosità del casale, la bellezza della forma e la ruralità del posto, avevano attirato la loro attenzione tanto da volerlo esplorare; colsero quindi l’occasione per chiedere direttamente a lui cosa fosse quel posto.

Il cacciatore, sedendosi su un enorme masso di carparo, chiese ai due ragazzi cosa secondo loro fosse stato quel luogo, mentre le sue mani erano impegnate a smontare e riporre, in una polverosa custodia lignea, il suo fucile assieme alle cartucce.

Fu solo allora che Marco e Giulia, ormai rassicurati dal fare tranquillo dell’uomo, iniziarono a guardarsi attorno attentamente soffermandosi con più attenzione sui particolari architettonici della sala d’ingresso. Nonostante le mura mezze diroccate e l’incuria del tempo, intuirono dal soffitto dell’androne voltato a botte, dall’arco di ingresso in carparo e pietra leccese e dal secondo arcone posto sulla parete di fondo che presentava sulla chiave di volta un modiglione con lo stemma, che quel casale in passato fosse stato un’antica residenza nobiliare.

Il cacciatore, conclusa la sua abituale pratica di oleatura dell’arma e averla ormai riposta, rivolse ai ragazzi un mezzo sorriso: la loro intuizione non era del tutto errata; ma la vera storia era molto più ricca di ciò che potessero immaginare…Con voce intrisa di emozione il Cacciatore iniziò a raccontare.

Tutto ebbe inizio sul finire del Quattrocento, il Salento era diviso in vari feudi e vari duchi e conti si contendevano le campagne e i centri abitati. Fu una nobile famiglia, quella dei Gallone, all’epoca signori di Tricase ad individuare un punto strategico nel cuore del Salento: Nociglia. Fu all’epoca che la nobile famiglia Gallone si unì con un’altra nobile dinastia, quella dei Pignatelli, dando origine ad una potente famiglia, i Gallone-Pignatelli.

I due ragazzi lo interruppero prorompendo in un’esclamazione di meraviglia: quel nome era loro familiare. Tante volte da bambini si erano ritrovati a giocare nel cortile del castello che sorgeva nella piazza del loro borgo, sapevano che quel castello si chiamava “Palazzo Baronale Gallone-Pignatelli”. E allora un’illuminazione li colse: quell’antico casale dove si trovavano era forse in qualche modo collegato con quel castello?

Il cacciatore annuì sorridendo. Era proprio così. Ma per far capire loro meglio cosa veramente fosse stato quel posto, l’uomo invitò i ragazzi a seguirlo al piano superiore. Essi lo seguirono facendo attenzione alla ripida scalinata, e domandandosi come mai l’uomo li volesse portare su. Una volta giunti lo trovarono affacciato ad una delle balconate semi diroccata. Si affacciarono anch’essi. Allora il cacciatore ruppe il silenzio invitandoli a  guardarsi intorno e chiedendo loro cosa vedessero. Per Marco e Giulia la risposta era molto semplice: il casale era immerso nelle campagne di ulivi.

L’uomo guardava fisso di fronte a sé, pieno di commozione, e i suoi occhi erano persi nel vuoto come se non vedesse l’attuale paesaggio ma l’antica storia di quel posto. Non era stato sempre così: dove ora sorgevano ulivi un tempo sorgeva un folto bosco dove alberi di noci, querce e larici si alternavano a canneti e piante di giglio. Un bosco ricco e vasto, chiamato il “Bosco del Belvedere”. E se la flora era stata ricca e varia anche la fauna non lasciava a desiderare: lupi, volpi, cinghiali, faine, quaglie, lepri popolavano quel luogo. E non era un caso se quella masseria si trovava lì: era stata edificata su uno dei punti più alti di quella piana.

Un punto strategico dove i nobili della famiglia Gallone-Pignatelli potevano soddisfare uno dei passatempi molto in voga all’epoca, la caccia, e allo stesso tempo avere sotto controllo una buona parte del loro territorio.

Marco e Giulia iniziarono quindi ad immaginare rivivendo quei momenti del passato pieni di sfarzo ma il cacciatore continuando il suo racconto aggiunse che quel casale non era stato solo un posto di svago e di caccia. Verso il XVIII secolo infatti, a seguito delle ripetute battaglie tra famiglie nobili salentine per la conquista dei territori, le stanze del piano inferiore vennero trasformate in celle carcerarie per i prigionieri di guerra.Per questo motivo quella residenza veniva ricordata con il nome di “Masseria delle carceri”.

La commozione del cacciatore cresceva sempre di più a tal punto che una lacrima scese sulla sua guancia rugosa. I ragazzi erano immersi ancora nella loro immaginazione e non si accorsero della tristezza che aveva invaso l’uomo e neanche del fatto che pian piano si stesse allontanando da loro. Quando Marco e Giulia si volsero verso il cacciatore per chiedergli di continuare la storia, l’uomo non c’era più. Scesero quasi di corsa al piano inferiore per cercarlo ma dell’uomo nemmeno l’ombra; al suo posto trovarono solo una moneta che roteava su sé stessa al centro dell’anticamera. Pieni di dubbi e domande i due ragazzi la raccolsero capendo subito che si trattava di una moneta molto antica appartenente forse alla famiglia Gallone-Pignatelli.

Il Sole giungeva quasi al suo tramonto, ed era tardi per rimanere nelle campagne da soli alla loro giovane età. Emozionati per aver finalmente scoperto la storia di quel posto ma allo stesso tempo amareggiati dal fatto di non essere riusciti a chiedere di più e capire chi fosse quell’uomo, uscirono dall’arco d’ingresso e tornarono con il sole ormai sulla linea dell’orizzonte.

Da quel giorno però, ogni volta che potevano, Marco e Giulia si davano appuntamento per tornare lì, alla “Masseria delle carceri” speranzosi di rivedere quell’ignoto cacciatore, ma non trovarono mai più traccia di lui. Era come se non fosse mai esistito o che fosse stato frutto solo della loro immaginazione. E fu così che alla fine continuarono a tornarci solo per il piacere di farlo, ricordando quel pomeriggio estivo quasi magico.

Scritto dai ragazzi del Servizio Civile del Comune di Nociglia

Concorso #viaggioalcentrodelborgo, 2020